Analisi

TRENTA ANNI DI DISTANZA

Da UN ANNO NELLA PITTURA DI RESMI È ACCADUTO QUALCOSA. APPARENTEMENTE SI TRATTA DI UNA DUPLICE RINUNCIA: RINUNCIA AL COLORE, CHE CON ACCORDI SONTUOSI E SOLARI ERA VENUTO SEMPRE PIÙ ACCENDENDO LE TELE DEGLI ULTIMI ANNI NOVANTA – DA L’ALBERO DELLA VITA A L’ABBRACCIO DELL’ALBERO-, E RINUNCIA ALLA MATERIA, QUELLA MATERIA RICCA DI SPESSORI E DI TRASALIMENTI ROMANTICI, ATTRAVERSO LA QUALE EGLI SI ERA RIVELATO CAPACE DI MODULARE, NEL CORO DEI MOTIVI RIPORTATI IN DISCUSSIONE DALLA STAGIONE DELLA TRANSAVANGUARDIA, UNA PROPRIA DISTINGUIBILE VOCE, VICINA AGLI SVOLGIMENTI RAREFATTI E INCANTATI DI RUGGERO SAVINIO.
IN REALTÀ, ABBANDONANDO LA TELA PER LA GRANA FLAGRANTE E LUMINOSA DELLA CARTA, E LASCIANDOSI ALLE SPALLE LA FISICITÀ DELL’OLIO PER LA TRASPARENZA DIAFANA E SENZA PESO DELL’ACQUERELLO MONOCROMO, EGLI HA FATTO IN CERTO MODO RITORNO ALLE PROPRIE ORIGINI DI INCISORE SOSTITUENDO L’ARMONIA DI TONI LENTAMENTE CONQUISTATA CON UNA PIÙ SOTTILE ARMONIA, TESA FRA IL NERO PROFONDO DELL’OMBRA E L’ABBAGLIO BIANCO DELLA LUCE.
È STATO IL DESIDERIO DI RAPPRESENTARE IL VUOTO ATTRAVERSO IL PIENO -QUELLE “MANI DEL VENTO” DI CUI PARLA L’AMICO POETA SAADI YOSEF- E POI LA SCOPERTA DI POTER CONVOGLIARE NEL VUOTO UN VERO FLUSSO DI ENERGIA, TESO FRA LUCE E ARIA FINO AL DIAPASON, A RIPORTARLO FATALMENTE VERSO IL BIANCO E NERO. OVVERO, VERSO UNA DISPOSIZIONE SPIRITUALE OLTRE CHE TECNICA, CONSIDERATA NON A CASO FIN DALLE SUE ORIGINI LONTANE COME LA PIÙ ADATTA A CAPTARE E SVILUPPARE CON NATURALEZZA, FAVORENDONE SOVRAPPOSIZIONI E INTRECCI, LE IMMAGINI OSSERVATE NEL MONDO CON QUELLE NATE NELLA MENTE; IMMAGINI CHE UNA VOLTA TRASFORMATE IN OPERE, SIANO CAPACI DI SUSCITARE EMOZIONI OPPURE DI CREARE DOMANDE.
LA CONSAPEVOLEZZA DEL BIANCO E NERO RESMI L’HA MATURATA LENTAMENTE, MA UNA VOLTA RAGGIUNTA ESSA HA SUSCITATO NELL’ARTISTA UN VERO E PROPRIO CORTOCIRCUITO; AD UN PERIODO DI DUBBI E DI INCERTEZZE HA FATTO SEGUITO ALL’IMPROVVISO UNA ATTIVITÀ INCESSANTE E QUASI LIBERATORIA CHE TUTTORA È IN PIENO SVOLGIMENTO, DOMINATA DALL’ESATTEZZA DEL TOCCO E DALLA TRASPARENZA DELLE VELATURE DI UNA TECNICA CHE NON CONCEDE RIPENSAMENTI E VUOLE VELOCITÀ DI ESECUZIONE, PUR PROCEDENDO IN UN DIFFICILE EQUILIBRIO DALLA CONDIZIONE OPPOSTA ED UGUALMENTE NECESSARIA DI SILENZIOSA CONCENTRAZIONE. COME SE LE IMMAGINI A LUNGO CUSTODITE DALLA MEMORIA AVESSERO FINALMENTE TROVATO UNA VIA D’USCITA. O MEGLIO, LA MEMORIA STESSA AVESSE RAGGIUNTO UNA CONDIZIONE DI SERENITÀ E DI PACE ATTRAVERSO LA DISTANZA IMPOSTA DAL BIANCO E NERO.
IRAKENO, NATO A DYWANIA, RESMI LAVORAVA GIÀ DA DIECI ANNI NEL CAMPO DELL’ARTE QUANDO HA DOVUTO LASCIARE IL SUO PAESE PER MOTIVI POLITICI, NEL 1977; AVEVA TRENT’ANNI. DA ALLORA DELLA SUA TERRA GLI È RIMASTA LA MEMORIA, “LA BELLA MEMORIA”, SUA UNICA MEDICINA NEI MOMENTI DIFFICILI. MA IL DISTACCO NON HA PROVOCATO SOLO DOLORE ED IL TEMPO NON È PASSATO INVANO; UN’ALTRA MEMORIA SI È LENTAMENTE COSTRUITA NEI SUCCESSIVI TRENT’ANNI; QUELLA ITALIANA, TOSCANA IN PARTICOLARE, E QUESTE DUE MEMORIE, DANZANDO COME MORBIDI VELI TRAPUNTI DI SPAZI E DI TEMPI DIVERSI, HANNO COMINCIATO A SOVRAPPORSI SLITTANDO, SVELANDO IMPROVVISI CONTRASTI, MA ANCHE IMPREVISTE PREZIOSE ASSONANZE. NE È NATO UN MONDO LA CUI SOSTANZA SOTTILE SI DISPIEGA DAVANTI A NOI ATTRAVERSO UNA FLESSIBILE FILIGRANA DI FORME: SONO CORPI-PAESAGGI, APERTI A CANNOCCHIALE SU ALTRI CORPI ED ALTRI PAESAGGI MOLTIPLICATI, ORA LIEVITANTI D’ARIA E DI LUCE BIANCA, ORA ONDULATI DI COLLINE RIARSE, ORA PUNTEGGIATI D’ALBERI A PERDITA D’OCCHIO. SEGUENDOLI CON LO SGUARDO SI ENTRA IN UNA DANZA DI RIMANDI, UNA FIABA ARABA DOVE NIENTE È COME SEMBRA, DOVE OGNI FORMA È EMBLEMA DI UN UNIVERSO SOSPESO FRA CIELO E TERRA, MA SOPRATTUTTO DI UN UNIVERSO TUTTO INTRISO DI FORZE VIVENTI. ED È QUESTA “LA LIBERTÀ DEL SOGNO” A CUI RESMI SI ERA GIÀ RIFERITO IN ALTRI LAVORI PASSATI, E CHE RITORNA ANCORA PIÙ DISTILLATA PER UNA SORTA DI TRASFORMAZIONE ALCHEMICA IMPOSTA AI COLORI DEL MONDO, COME ACCADE NELLE POESIE DI SAADI YOUSEF CHE SPESSO EGLI TRASCRIVE IN FILIGRANA SUL DORSO DELLA TERRA SCURA NEI SUOI ACQUERELLI: “LA NOTTE SCENDE BLU, FRA I PASSI E LE STELLE…/ VEDO ALBERI BLU, STRADE DESERTE, CITTÀ DI SABBIA / AVEVO UNA PATRIA CHE POI HO PERSO / AVEVO UN PAESE CHE POI HO ABBANDONATO…/ COME SENTO VICINE LE STELLE, ADERENTI AI PASSI / O ALBERI BLU, LEGNO BLU, NOTTE…”. DOVE LA RINUNCIA E IL DISTACCO SUBLIMANO IL DOLORE TRASFORMANDO IL RADICAMENTO ALLA TERRA NEL SENTIMENTO DI UNA APPARTENENZA UNIVERSALE. SOTTO LA LUCE LONTANA DELLE STELLE OGNI VIOLENZA, OGNI RUMORE DEL MONDO SI PLACA, TRASFORMANDOSI: “ALBERI PER LE MANI MOZZATE. / ALBERI PER GLI OCCHI ACCECATI. / ALBERI PER I CUORI IMPIETRITI…”.
LA SEVERA PRESENZA DELLE FORME NATURALI BASTA DA SOLA A COSTITUIRE IL PIÙ FORTE ATTO D’ACCUSA, E RESMI LO HA CAPITO SCHIERANDO GLI AFFUSOLATI CIPRESSI TOSCANI NELLA GRANDE CARTA ISPIRATA A IL QUARTO STATO DI PELLIZZA DA VOLPEDO. MA È SOPRATTUTTO IN 30 ANNI DI DISTANZA CHE L’EQUILIBRIO LIRICO RAGGIUNTO LIEVITA IMPROVVI UN’IMMAGINE DI AMMALIANTE BELLEZZA: PAESAGGIO E RICORDO, SOGNO E SPERANZA, LO SGUARDSO INO SCIVOLA DALLA CIMA INCANDESCENTE DI BIANCO DI UNA COLLINA TOSCANA, ACCOMPAGNATO DALL’OMBRA DELLA SUA LUCE, VERSO L’IMPENNARSI DI UNA FORMA CONTRO IL CIELO NERO; SOMIGLIA AD UN’ARCA E DALLA VETTA UNA MINUSCOLA FIGURA CONTEMPLA LA PIANURA SOTTOSTANTE ISCRITTA DI VERSI A PERDITA D’OCCHIO.
SUSANNA RAGIONIERI
FEBBRAIO 2008

CANTI ANDALUSI

CANTI ANDALUSI” DELL’ARTISTA IRACHENO RESMI AL KAFAJI: LA RICCHEZZA, L’ELEGANZA E LA RAFFINATEZZA DELLA CULTURA ARABA IN QUESTA BELLISSIMA MOSTRA ALLA GALLERIA IMMAGINARIA DI FIRENZE E ALLA GALLERIA QUADRO 0,96 DI FIESOLE FINO AL 14 FEBBRAIO P.V.. “ FINO A POCO TEMPO FA HO USATO IL COLORE AD OLIO, ADESSO USO SOLO IL BIANCO, IL NERO E LE INFINITE SFUMATURE DI GRIGIO E VEDO TUTTI I COLORI DEL MONDO” AFFERMA L’ARTISTA. LA SENSAZIONE, INFATTI, È DI ESSERE IN MEZZO AI COLORI, I BLU, I BIANCHI, GLI ORO DELLE MOSCHEE E DEI MINARETI DELL’IRAQ CHE RISALTANO NELL’AZZURRO DEL CIELO.
I CANTI ANDALUSI DI RESMI RIEVOCANO LE PISTE DEL SOGNO DEGLI ABORIGENI DELL’AUSTRALIA (BRUCE CHATWIN – LE VIE DEL CANTI 1987): MIGLIAIA DI LINEE IMMAGINARIE CHE ATTRAVERSANO L’INTERO CONTINENTE, GLI ANTENATI HANNO CREATO IL MONDO CANTANDO, CANTARE È ESISTERE, UN CANTO È MAPPA.
I CANTI ANDALUSI DI RESMI SONO SUGGESTIVI PERCORSI CHE VISITANO PAESI E CULTURE, CHE SI SOVRAPPONGONO, CHE SI ESTENDONO FINO A DIVENTARE ALTRO A RICREARE PAESI E MONDI. LA BELLA CARTA MARTELLATA E L’ACQUA AIUTANO AD “ALLARGARE”, A DILUIRE IL NERO CHE, SCIOGLIENDOSI ED AMMORBIDENDOSI, SI PURIFICA E SI AFFINA DIVENENDO LUMINOSO E ARIOSO. IL GRIGIO HA MOLTE GRADAZIONI FINO AL BIANCO ACCECANTE COME L’ANDALUSIA, TERRA DI SOLE E DI DIVERSITÀ, CASE BIANCHE E FIORI VARIOPINTI, PAESINI ARROCCATI E PROFUMO DI AGRUMI E DI OLIO, MUSICA. COSÌ FACENDO, L’ARTISTA INTESSE UN MOVIMENTO DAL NERO AL BIANCO, DAL BUIO ALLA LUCE, DA UN PAESE DEVASTATO, L’IRAQ, ALLA PASSIONALE E SOLARE ANDALUSIA. LA SCRITTURA, ANZI LA CALLIGRAFIA ARABA DIVENTA PARTE ESSENZIALE DELL’OPERA DI RESMI. LA SUA ARTE, COME L’ANDALUSIA, CHE È STATA UN PONTE TRA DUE CONTINENTI, È L’INCONTRO TRA L’ IRAQ E LA TOSCANA, DOVE VIVE DAL 1977, È L’ INCONTRO TRA MESOPOTAMIA E ETRURIA, TRA IL CIPRESSO E IL MELOGRANO SIMBOLI ANCHE DELLA MORTE E DELLA RINASCITA.
IN QUESTE OPERE IL MELOGRANO È IMPORTANTE: FRUTTO DALLA BUCCIA CORIACEA CON GRANI ROSSI AL SUO INTERNO È SIMBOLO DI FECONDITÀ, ABBONDANZA, REGALITÀ, ENERGIA VITALE: ESEMPIO DI COSE BUONE CREATE DA ALLAH E FRUTTO NEL GIARDINO DEL PARADISO. E’ UN RICHIAMO AL RINASCIMENTO ITALIANO, ALLA MADONNA DELLA MELAGRANA DIPINTA DA BOTTICELLI E DA LEONARDO, AL CARTONE DI RAFFAELLO, ALLA SCULTURA DI JACOPO DELLA QUERCIA. RESMI PARLA DEL SUO RITORNO IN IRAQ DOPO 30 ANNI: HA TROVATO UNA TERRA DEVASTATA DALLA DITTATURA E DALLE GUERRE, LA CULTURA SI È FERMATA, L’IRAQ DEL SUO RICORDO È STATO SPAZZATO VIA ED ALLORA, FORSE, C’È BISOGNO DI SILENZIO, D’INTERIORITÀ, DEI BIANCHI, DEI NERI E DEI GRIGI. NECESSITA IL “RITIRO” DAL COLORE PER RICOSTRUIRE LA MEMORIA TRADITA DALLA REALTÀ, PER ACCETTARE IL LUOGO D’ORIGINE OFFESO DAGLI EVENTI. “OGNI COSA QUOTIDIANA PUÒ DIVENTARE ARTE BASTA VEDERLA CON OCCHI ARTISTICI” SOSTIENE RESMI (TACHIDOL – VIDEO) ED ALLORA ASCOLTIAMO I CANTI ANDALUSI E PERCORRIAMOLI COME FOSSERO LE PISTE DEL SOGNO.
 ANGELA ROSI
4 FEBBRAIO 2012

CANTI ANDALUSI

IL LIQUIDO DELL’ACQUARELLO DI RESMI SI STENDE LIEVE SULLE PREZIOSE CARTE DI FABRIANO. COME L’ESISTENZA DI INFINITI PUNTI FRA DUE ESTREMI, EGLI CREA INFINITE CROMIE FRA IL NERO E IL BIANCO, IN MANIERA DISCONTINUA SI FISSANO SULLA SUPERFICIE MARTELLATA DELLA CARTA E AMPLIFICANDO GLI EFFETTI IN CAMPITURE DISOMOGENEE.
LE LETTERE DELL’ALFABETO ARABO SONO I SEGNI ASTRATTI CHE SI DEPOSITANO SUI FOGLI SENZA VOLER ESSERE UNO SCRITTO COMPIUTO. SI POSSONO ANCHE TRADURRE IN UN DISCORSO CON PAROLE SCOMPOSTE, MA SIAMO PORTATI AD IMMAGINARE CHE SIANO TUTTE POESIE ANTICHE E MODERNISSIME SENZA CHE CI VENGANO TRADOTTE. NELLO STESSO MODO APPAIONO ARCHETIPI DI ALBERI SEGNI UNIVERSALI CHE UNISCONO I LINGUAGGI E GLI SPIRITI DEI POPOLI. LA SERIE DEI “CANTI ANDALUSI” CI DICE CHE LE NAZIONI DEL MEDITERRANEO E DELLA MESOPOTAMIA HANNO ATTRAVERSATO I MILLENNI SCONTRANDOSI MA COSTRUENDO DUE CIVILTÀ CHE SONO ESISTITE ED ESISTONO IN CONFLITTO E IN SIMBIOSI. L’UNA NON PUÒ FARE A MENO DELL’ALTRA. LO SCAMBIO DI PENSIERI CHE HA PRODOTTO MONUMENTI DELLA SCIENZA, DELLA FILOSOFIA O LO SCAMBIO DELLE MERCI CONTENENTI IN SÉ UN’ESTETICA CHE È ANCH’ESSA IL PRODOTTO DELLO SPIRITO DI POPOLI, CHE SI ERIGONO SULLE STESSE FONDAMENTA. SULLA SPESSA CELLULOSA, CHE ASSORBE LENTAMENTE L’ACQUA NERA DI RESMI, APPARE IL MELOGRANO, IL FRUTTO MAGICO CHE DA IL NOME A GRANADA, APPAIONO I MURI SULLE CUI SUPERFICI PER SECOLI SI È STRATIFICATO IL TEMPO. SULLE FORME SIMBOLICHE OGNI TANTO SI POSA UN PICCOLO UCCELLO CHE CI IMMAGINIAMO RIPRENDERÀ IL VOLO PER ANDARE A POSARSI SU UN’ALTRA FORMA, SOPRA UN ALTRO FOGLIO: L’AUTORITRATTO INTIMO DI AL KAFAJI COSTRETTO A VOLAR VIA DALL’IRAQ TANTI ANNI FA PERCHÈ PERSEGUITATO DA UN POTERE DISPOTICO. LE OPERE DI RESMI SONO DELLA STESSA MATERIA SPIRITUALE DEGLI ACQUARELLI DI KLEE DIPINTI NELLA LUCE DI HAMMAMET: LA PROVA DI COME LE ESPRESSIONI ARTISTICHE POSSONO ESSERE ANTICHISSIME E NELLO STESSO TEMPO ATTUALI, O FORSE MEGLIO SONO PRESENTI ALLE SENSIBILITÀ DI OGGI PERCHÈ HANNO UNA ANIMA ARCAICA CHE TRASMIGRA NEI SECOLI TRASFORMANDOSI IN OGNI MOMENTO.
ALDO FRANGIONI
GENNAIO 2012

IL PUNTO DI INCONTRO

“Ogni essere grida in silenzio di venire letto diversamente” – Simone Weil
Resmi Al Kafaji racconta di come nel 2006, al rientro da un viaggio in Iraq (il secondo dopo un esilio trentennale, finito solo con la caduta del regime), il colore sia sparito dalla sua tavolozza per lasciare spazio a un’ampia tessitura di bianco e nero. Questo nuovo corso della sua pittura (e più in generale della sintesi delle sue visioni, che comprendono anche il video e l’installazione) mantiene a otto anni di distanza una stringente coerenza stilistica e concettuale. Nel naturale mutarsi delle opere – un mutare che passa attraverso la ripetizione del gesto dell’artista e si arricchisce ad ogni passo ripercorso di un’esplorazione tecnica o poetica in più – si delinea uno dei temi più importanti per tutta la ricerca di Resmi, che imbeve le sue diverse sperimentazioni ed emerge con fisionomie più o meno criptiche attraverso i suoi diversi percorsi. Questo tema è stretto intorno alla varietà delle possibili interpretazioni del mondo visibile: la non obiettività dei formati in cui la realtà viene tradotta dall’intelletto (creativo o speculativo) rende impossibile ogni comunicazione neutra, così attraverso le parole come attraverso le forme; pertanto la reale natura delle idee, delle persone, delle cose e dello spazio deve sempre essere rimessa in discussione, deve essere mantenuta in uno stato di dubbio rivisitabile. Di tutto ciò Resmi Al Kafaji è consapevole in quanto uomo, con la sua storia di attivista politico e intellettuale forzatamente lontano dalla propria terra dove le definizioni della giustizia, della libertà, dell’equità del giudizio devono cedere oltre i confini del concetto astratto. E questa comprensione della irriducibilità del mondo in facili schemi si affina ancora di più perché Resmi è un artista, un autore che ha scelto di compiere nel proprio lavoro rinunce altrettanto corpose e radicali, e che come artista è dotato di sguardo vibrante e percezione sottile, capace di tradurre in forme poetiche tale dissidio. Il passaggio in Europa ha implicato anche la lotta contro l’assunzione su di sé di quello stereotipo che l’occidentale conferisce todo modo allo straniero, attribuendogli una conformità all’idea che dei vari “esotismi” si deposita nell’immaginario greve e superficiale. Essere artisti in un paese straniero (e soprattutto esserlo nell’area di scaturigine della cultura globalizzante) impone sempre un esercizio di resistenza e di equilibrio per mantenere la propria autonomia nella visione, costeggiando e rigettando le poetiche e le estetiche della patria elettiva. Il bianco e il nero di Resmi, con la loro tensione biforcuta, verso il volume totale della loro pienezza acromatica da un lato, e dall’altro verso la possibilità di mediazione, di uno stemperamento degli opposti che li contenga entrambi, sono funzionali per la rappresentazione di questa complessità, dello sforzo continuo, del rischio che si accompagna alla ricerca di un punto di incontro. Ogni passaggio di pennello contiene il successivo, così come ogni opera ne include altre che aprono la precedente e la moltiplicano sottraendola alla compiutezza. Questa consequenzialità necessaria descrive un altro tratto fondante dell’arte di Resmi: la volontà di mantenere una dimensione astratta, o almeno non conoscibile pianamente, perseguita anche attraverso la discesa nel dettaglio che spesso viene ritagliato da composizioni più ampie. I soggetti ricorrenti, il cui profilo viene scelto per questa elaborazione, sono forme vegetali e animali sempre in qualche modo riconducibili a elementi archetipi della cultura islamica o di quella adottiva toscana. Tutti fanno parte di un immaginario assorbito dall’artista nel suo bilanciarsi tra due regioni culturali, tra la memoria e il presente, e ognuno di loro in qualche modo conduce a un riferimento autobiografico, un’impressione retinica, un ricordo, un simbolo in cui si incontrano la storia tormentata dell’Iraq e le vicende dei suoi abitanti, resistenti, profughi, esuli, oppure il paesaggio toscano, la tradizione iconica italiana, la sua predilezione per l’univocità del racconto. Pecore, bovini, cocomeri, cipressi, corpi di donna e paesaggi rupestri si sovrappongono nella creazione di composizioni ritmiche in cui niente viene celato ma, al tempo stesso, niente rimane su un piano puramente e semplicemente narrativo. La ricorrenza della scrittura in caratteri arabi che sembra al primo sguardo una pennellata leggera complica ancora di più il sistema di riferimenti culturali di Resmi. E anche i lavori che dichiarano nel titolo o nelle intenzioni un omaggio ad artisti europei e iracheni, esplicitando in qualche modo una certa referenza geopolitica, sono l’esito di una trattazione quasi ermetica che richiede all’osservatore di entrare nella dialettica dell’opera, dove il senso ultimo non è mai scontato. Esattamente come succede con il video, l’ultimo lido su cui l’incessante desiderio di sperimentazione ha portato Resmi Al Kafaji. Qui la sua pittura sembra fluire nello svolgersi delle immagini, come se fosse un quadro che invece di presentarsi nella sua fissità continua ad accadere, mutando il punto di riferimento e ponendo a chi guarda nuovi interrogati. Come sempre fa l’arte.
PIETRO GAGLIANÒ
2014

TERRA E LUNA

Sul solco del suprematismo di Malevič, che a partire dal suo primo quadrato nero su sfondo bianco raggiunse quella che agli albori del ’900 poteva dirsi espressione di sensibilità pura, ovvero il limite estremo dell’arte, per buona parte degli artisti contemporanei il bianco e il nero, in quanto poli opposti del cerchio cromatico, hanno il potere di generare un’immediata tensione nell’annullare o evocare la forma, l’uno nella sua funzione accogliente e contenitiva, l’altro nel vuoto dell’assenza del colore.
Per Resmi Al Kafaji l’uso del bianco e del nero genera una struttura architettonica che riflette le fondamenta del microcosmo umano, evocando in sintesi l’esperienza vissuta ma anche superando quella tensione duale che spinge oltre occhio e mente alla ricerca inconscia di sensi più profondi, di misteri evocati dall’incastro perfetto di forma bianca e forma nera, tale da attivare emotività e razionalità come in una sorta di percorso iniziatico in un tempo indefinito.
“Terra e Luna” narra la storia di un intellettuale in grado di porre distanza tra l’io e il suo contesto giungendo ad allontanare da sé il suo stesso corpo, con il coraggio di guardarsi dentro. Il viaggio interiore inizia scardinando l’ovvietà, spostando il punto di partenza dell’osservazione tanto da farlo coincidere con una prospettiva aerea, come se dalla Luna egli guardasse la Terra, restituendoci geometriche visioni nell’assenza del colore, porzioni di paesaggio per sommi capi, stilizzando dolci colli o irti pendii, percorsi retti o tortuosi, fiumi, monti, mari, laghi, dalle sensazioni più volumetriche e materiche a quelle più rarefatte ed evanescenti.
L’aniconicità della tradizione islamica, che l’artista di origine irachena ha assorbito dalla sua terra, si fonde nella sua opera con la purezza del classicismo mediterraneo e con gli esiti della rivoluzione concettuale delle avanguardie storiche, generando un equilibrio di un lirismo emotivamente intenso e straziante, in un ambiente dominato dalla serenità prospettica della logica e dalla sensibilità istintiva e gestuale. La pittura di Al Kafaji trae forza dalla percezione visiva dell’annullamento del colore e oltrepassa i limiti dell’apparenza delle cose, guidando lo spettatore in un percorso sui generis, che trascende la forza “terragna” della materia per giungere alla luminosa astrazione lunare.
Con ricercate modalità pittoriche l’artista rivela l’opposizione al sistema cromatico e, al contempo, le infinite relazioni che il bianco, il nero ed anche il grigio intrattengono non solo con la luce, con le ombre e con l’oscurità, ma anche con gli altri colori, divenendo essi stessi colore, e con i volumi stessi, facendosi materia. In questo iter di visioni da percorrere nell’uno o nell’altro senso, ricercando ogni volta inattesi equilibri e raffinate suggestioni, Resmi Al Kafaji appare come un intellettuale cosmopolita in viaggio, perennemente ad un passo dall’altrove.
ILARIA MAGNI

TERRA E LUNA: QUANDO IL SEGNO DIVENTA SOGNO

In un momento storico così febbricitante e moribondo per i rapporti sociali e culturali, un buon vaccino (decisamente obbligatorio) può trasmetterlo la lettura del classicissimo di Calderòn De La Barca “La Vita è Sogno”, iperbole moraleggiante sul controllo dei propri istinti bestiali, perchè nulla, nemmeno la realtà individuale, si può definire scontata. Piuttosto interessante, dunque, risulta la proposta espositiva di Resmi Al Kafaji “Terra e Luna” presso la galleria Studio38 di Pistoia, uscente capitale italiana della cultura, curata da Ilaria Magni.
Oltre al rilevante punto di vista che può offrire di per sé un artista di origini irachene da più di 40 anni operante in Italia, l’arte di Al Kafaji concentra idealmente una dimensione universale e immediata, tramite un grafismo ricco di segni, individuando, con dolcezza poetica, nel disegno quella matrice comune per tutto il genere umano. Sospesa tra il corpo materico dei vari ausili pittorici (dall’olio all’acrilico alle terre), variegati come l’umanità stessa, e le suggestioni oniriche sia letterarie (gli archetipi naturali dei tramonti e della notte) sia artistiche (i cieli di Van Gogh e i paesaggi di Rothko), “Terra e Luna” mette in luce una ricerca genuina, non necessariamente sofisticata, accessibile e apprezzabile proprio per la delicata leggerezza, toccasana per sopravvivere nella caoticità spinosa dell’attualità. Le opere, quasi tutte realizzate nell’ultimo anno, privilegiando il bianco e nero, marcano un forte rapporto con la pagina scritta ma non si allontanano neppure dal richiamo delle decorazioni bicrome a cosmatesca tipiche dell’architettura gotica tanto mediorientale quanto occidentale, annuendo velatamente alla ricchezza insita nei proficui e necessari scambi culturali.
LUCA SPOSI
2018

Made with ❤ in Firenze